Carlo Giavarini SITEB

Il settimo Simposio ISAET, organizzato da AEMA e IBEF, si è svolto in modo virtuale a fine ottobre 2021. Sono state presentate 15 relazioni, tutte interessanti, che hanno approfondito il comportamento delle emulsioni nelle loro varie applicazioni. L’uso maggiore in molti Paesi è per la manutenzione delle superfici stradali, mentre in altri vengono usate prevalentemente come
mano d’attacco. Sono stati considerati anche gli emulsionanti biobased. Proposto l’uso di emulsioni pigmentate per combattere l’effetto albedo. Molto importante e particolarmente studiato è stato l’indurimento (curing) della emulsione. Analizzato anche il comportamento della grave emulsion (conglomerato a freddo). Introdotta la tecnica (scrub seal) della spazzolatura dell’emulsione subito dopo che è stata spruzzata, per meglio farla entrare nelle fessurazioni della pavimentazione.

1. I dati sulle emulsioni di bitume

I dati internazionali sulle emulsioni sono stati raccolti a partire dal 1996, anno di creazione dell’associazione mondiale delle emulsioni di bitume (IBEF)da parte di 6 partner iniziali, tra cui l’Italia. La pandemia Covid ha ultimamente creato turbolenze neiconsumi e nei dati, così che ci si rifà sui dati consolidati del 2019. In tale anno sono stati censiti 111milioni di tonnellate (MMt) nel mondo, di cui circa la metà in Asia e il 25% in America, contro 8,7 MMt di emulsioni, di cui quasi il 40% in America (Nord e Sud) e 29% in Asia. Quattro Paesi (USA,Francia, Cina e Messico) hanno prodotto circa il50% del totale, con Cina e India in forte espansione. La crescita annuale dell’ultimo decennio è stata pari all’uno %, trainata dall’Asia (+62%) e “frenata”dal resto del mondo (-6%). Interessanti sono i datirelativi al rapporto tra i volumi di emulsione totali equelli del bitume, dove tre Paesi eccellono: Messico 42,5%, Francia 29,8%, Brasile 21,9% Questi Paesi fanno largo uso delle emulsioni perla manutenzione delle pavimentazioni, soprattuttoper i trattamenti superficiali (relazione di Etienne Le Buteiller).

2. Gli emulsionanti

Gli emulsionanti tradizionali sono prodotti dalla petrolchimica e possono essere inquinanti, in quanto non biodegradabili. Quelli “bio-based” sono circa il 10% del mercato, con una crescita annuale di circa il 5,6%; essi sono soprattutto non-ionici, pochi sono ionici, nessuno è cationico. Come noto, gli emulsionanti sono costituiti da una catena liofilica (es ac. grassi) e da una testa idrofilica (Fig. 1).  Occorre specificare che i “bio” possono essere completamente derivati da basi naturali o solo in parte (Tab. 1). Le basi grasse naturali provengono da oli vegetali; le teste, da cellulosa, amido, emicellulose (es. da barbabietola da zucchero). Lo sviluppo di un nuovo emulsionante bio può richiedere anche 15 anni, come nel caso del prodotto Emulgreen di Eiffage (emulsionante cationico a base di betaina glicinica), progettato e brevettato nel lontano 2004, inizialmente prodotto industrialmente nel 2016 e commercializzato nel 2019 (20 t/ anno). In partnership con Surfactgreen, c’è stato un successivo sviluppo, con l’applicazione del derivato Recytal Arm per la rigenerazione e riciclo delle pavimentazioni (relazione di Claude Giorgi)

3. L’effetto albedo

Nel futuro immediato le pavimentazioni andranno incontro a due sfide: la crescente urbanizzazione e i cambi climatici. Ciò comporterà una evoluzione delle superfici stradali relativamente a: migliore identificazione delle superfici stradali per la sicurezza, identità estetica e storica delle pavimentazioni, migliore prestazione termica (effetto albedo). Albedo è la porzione di energia solare riflessa; in pratica, le superfici con alto albedo presentano un minor assorbimento di calore (Fig. 2); l’isola di calore urbana è un fenomeno complesso nel quale l’albedo della pavimentazione è uno dei principali fattori. Le soluzioni tecniche per far fronte alle citate esigenze
consistono o in sistemi modulari (pietre e ceramici di vario tipo) o in pavimentazioni cementizie colorate, o in asfalti colorati. Il costo di questi materiali e della loro messa in opera sono fattori limitanti. In ogni caso è la superficie della pavimentazione ad essere soprattutto coinvolta. Sembra quindi logico e conveniente proporre l’applicazione superficiale (microsurfacing) di emulsioni opportunamente pigmentate e variamente colorate. Le emulsioni possono essere costituite da leganti chiari sostenibili, a loro volta prodotti da fonti rinnovabili (relazione di Paul Fort).

4. I prime coat

Una approfondito studio sui “prime coats” a base di emulsioni bituminose è stata presentata da Jean Paul Fort. Analogamente a ciò che comunemente chiamiamo tack coat o bond coat o mano di attacco, il prime coat è un tipo di legante a bassa viscosità da applicare, come rinforzo e adesivo, su una superficie granulare in vista della successiva stesa di uno strato di conglomerato. Anche i cosiddetti cut back petroliferi, ora meno usati, sono dei prime coats. Le fasi di applicazione consistono: a) nella preparazione della superficie, b) nella applicazione spray, c) nello spargimento di sabbia, d) nell’indurimento completo (3-5 giorni), seguito dalla stesa del conglomerato asfaltico. L’emulsione deve essere assorbita rapidamente e in profondità.

Occorre capire il fenomeno dell’impregnazione, basato su un flusso capillare e sulle leggi di Darcy e Dupré; le tensioni all’interfaccia guidano il flusso capillare. Il bitume è trasportato dalla fase acquosa; la bagnabilità (wetting) dipende dalla qualità e quantità del tensioattivo nell’emulsione, e dalle caratteristiche del substrato (base granulare, argilla, sabbia). Viene usato in genere anche un solvente, così che una tipica formulazione di un prime coat cationico può essere la seguente: bitume con penetrazione 60 dmm, emulsionante, solvente (15% sul bitume), residuo 40%. La ricerca ha studiato l’effetto dell’addizione del solvente e del residuo (praticamente la componente bituminosa). Il solvente (10- 20%) aiuta la penetrazione e ne accorcia il tempo. Ovviamente la penetrazione è migliore se il residuo è minore (es. 20%), cosa che però va a discapito delle altre prestazioni finali della emulsione. L’indurimento superficiale avviene quando evapora l’acqua. Gli auspici per il futuro, su cui si sta lavorando, sono di non dover usare il solvente e di avere una penetrazione più rapida ed efficace (relazione di S. Houston e L. Deves).

4. Il curing delle emulsioni

Una ricerca della Colas (B. Roujolle) ha studiato l’invecchiamento del legante residuo estratto dai cheap seal. Come noto i cheap seal sono trattamenti superficiali che combinano uno o più strati di bitume (o di emulsione, oggi) con uno o più strati di aggregati fini. Occorre distinguere tra curing (indurimento, consolidamento) e invecchiamento curing è il tempo necessario per raggiungere le prestazioni del legante originale dopo l’evaporazione dell’acqua, nel caso dell’emulsione; l’invecchiamento si manifesta con un indurimento superiore a quello del legante originale. Il curing è una proprietà che diventa critica se è troppo lenta. Le emulsioni modificate con polimeri mostrano un tempo di curing più lungo, da 2 mesi a 2 anni a seconda del tipo
e della quantità di polimero. Il lavoro ha analizzato anche l’affidabilità dei sistemi di misura e delle norme relative (es. EN 13074). La fase di indurimento subito dopo la posa è la più critica ai fini della durabilità del chip seal; altrettanto critico per la durabilità è l’indurimento estivo

5. La grave emulsion

La grave emulsion è una tecnica ottenuta tramite la dispersione a temperatura ambiente di un aggregato, con distribuzione granulometrica regolare, in una emulsione bituminosa a lenta rottura; una tipica formulazione è la seguente: 90% aggregato 0/14,
emulsione 7%, acqua 3%. Per la stesa è necessario un clima secco e una temperatura superiore a 10°C. La relazione di Bruno Marcant e Thomas Zamaron offre finalmente una completa informazione su questa tecnica tutta francese. I vantaggi della
grave emulsion sembrano inconfutabili, in termini di sostenibilità ed economicità (Fig. 3 e 4).

La miscela non subisce  invecchiamento (no riscaldamento) durante la produzione, può esser trasportata anche lontano (oltre le tre ore), non ci sono problemi con i giunti longitudinali, gli impianti per produrla sono semplici. Fino ad ora comunque l’impiego è
stato riservato su strade a medio e basso traffico.
Occorre un giusto curing (vedi anche presentazione precedente di Roujolle) essendo il prodotto a base di emulsione. È poi necessario normalmente un post-trattamento, ovvero uno strato superiore di  usura. Viene approfondito anche l’impiego di RAP fino al 100%) e lo studio di nuovi emulsionanti e rigeneranti adatti a queste miscele. Lo sviluppo della coesione verso gli aggregati dipende dal tensioattivo, dalla compattazione e si evolve progressivamente nel tempo.

6. Il riciclo a freddo in situ

Il Centro sviluppo dell’esercito USA si è interessato al riciclo in situ a freddo, ponendo l’accento soprattutto sulla lavorabilità delle miscele da riciclare, ma anche sulla compatibilità e sul guadagno di coesione. Il test Dongre di lavorabilità si è rivelato adatto.
Molto importante, come segnalato anche da altre presentazioni, la fase di curing, governata più dalla temperatura che dal tempo (raccomandate temperature medie o basse). Importanti anche la selezione della emulsione (a rottura lenta o media) e dei tempi di miscelazione e posa in opera. Una tipica formulazione era costituita da 2,76% di emulsione, 0,5% di cemento e 2,5% di acqua.

7. Gli scrub seal

Una ricerca USA, presentata dal Presidente di AEMA Gaylon Baumgardner insieme a Gerald Reinke, ha preso in esame, con numerose prove, il comportamento e l’invecchiamento delle emulsioni perscrub seal. Lo scrub seal (“sigillatore spazzolato”) è
un tipo di trattamento superficiale che differisce dal chip seal per l’impiego di una emulsione con rottura ritardata e di un aggregato contenente anche particelle più fini. Il legante contiene un additivo di rammollimento, in quanto lo scopo di questo trattamento è di riempire tutte le fessure; l’emulsione viene infatti forzata nelle fessure mediante spazzolatura, prima di applicare l’aggregato e di rullare la pavimentazione.

La Fig. 5 mostra la fase di spruzzatura e spazzolatura, fatte da una stessa macchina.                                 

8. Austria e microsurfacing

L’Austria, terra montagnosa con escursioni estreme caldo-freddo, ha sviluppato una speciale emulsione adatta alla manutenzione delle sue trafficate strade di montagna. L’emulsione cationica contiene un’alta percentuale di legante (circa 71%) ed è fortemente modificata con polimeri (> 5%). Il risultato  è una alta elasticità, ottima coesione, alta viscosità; il ricovero elastico è 80%, il Fraass è -20 °C. Il chipping viene fatto subito dopo la spruzzatura. (Philippe Chifflet).
Illustrati il progetto e le prestazioni di sistemi di microsurfacing basati sulla resistenza delle miscele all’ormaiamento e al cracking (Huachun Zhai). Il
microsurfacing crea una nuova e stabile superficie resistente all’ormaiamento in estate e al cracking in inverno. Si deve trovare un mix design bilanciato sulle curve di Fig. 6: per ridurre l’ormaiamento servirebbe un legante a più bassa penetrazione e contenuto di bitume minore; per ridurre il cracking occorre invece un legante più soffice e contenuto più alto. L’optimum è ottenuto usando i risultati del test Wheel Track Abrasion (WTAT) e del test Loaded    Wheel (LWT).

9. Conclusioni

La tendenza attuale sembra essere quella di capire a fondo e gestire la delicata fase di indurimento dell’emulsione (curing) a seguito della rottura ed evaporazione dell’acqua; essa dipende dal tempo, ma soprattutto dalla temperatura, oltre che (ovviamente) dal tipo di emulsionante. Questa fase è importante in tutte le applicazioni, siano esse le mani d’attacco, sia i conglomerati a freddo, sia i microsurfacing. Viene inoltre fatta una distinzione tra gli emulsionanti veramente bio (e sostenibili) e quelli che lo sono solo in parte. La messa a punto di un nuovo emulsionante richiede parecchi anni. I trattamenti di superficie con emulsione possono essere diversamente colorati per combattere l’effetto albedo. Speciali trattamenti di microsurfacing, con accurata scelta del legante di origine, permettono l’uso anche in condizioni severe, climatiche e di traffico. I trattamenti di spazzolamento (scrubbing) dell’emulsione spruzzata sulla superficie stradale permettono di sigillare più efficacemente le fessure sul manto stradale.

 

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